Com'è mutata l'immagine della donna nell'era in cui viviamo

 

Foto di ATDSPHOTO da Pixabay 

Il problema parte da lontano e ha radici che non è possibile investigare in poche semplici argomentazioni osintetizzare in brevespazio. Non è mia intenzione annoiarvi e non sono predisposta ad argomentare di fallocentrismo, al momento, che obbligherebbe a disquisire, fra l’altro, di tabù e di religioni.

Voglio solo annotare qualche breve e sintetica osservazione rispetto ai tempi che viviamo.

La risposta a come è mutata l'immagine della donna nell’attuale società genera dallo stesso quesito che mi pongo, e vi pongo, cioè dalla stessa parola “immagine” ché fra l’altro, significa “apparenza, aspetto”.

L’immagine si sovrappone a una realtà più complessa senza coincidere del tutto con l’involucro esteriore di ciò che rappresenta. Ciò che vediamo e di fatto ci appare, coincide con la nozione che abbiamo di quello che osserviamo: è vincolato. 

In concreto, corrisponde all’idea che abbiamo della realtà.

L’idea che ne abbiamo è condizionata da molti elementi, fra i quali: archetipi, stereotipi, esperienze personali, bagaglio culturale e, fra i tantissimi fattori su cui si impianta la nostra capacità di percezione, dalla comunità in cui viviamo.

L’immagine della donna nell’attuale società è, a mio parere, in barba ai vari movimenti femministi, affibbiata, cucita addosso; non è naturale né spontanea, non coincide con quella che miriamo allo specchio dell’anima: è come un abito, un trucco, una “divisa” che una volta indossata ci rende fra di noi simili sennonché adeguate a ciò che l’altro, gli altri, la collettività si aspetta di vedere.

Non spontanea, quindi, ma confezionata in un complesso di relazioni col mondo esterno.

È un’immagine che non tiene conto della vera identità della persona che la veste né tampoco la rispetta.

L’immagine che si ha della donna è pari a un qualunque altro bene di consumo: risente dell’esasperazione delle leggi di mercato, unica e spregiudicata forza motrice, ormai, delle umane relazioni.

L’involucro gioca a danno della sostanza e la figura femminile risulta soggiogata all’uso funzionale al consumo che se ne vuole fare. È un uso veicolato dai media, per cui, l’identità è sacrificata a vantaggio del business che ne detta le regole e propone, come unico traguardo, ultimo punto di arrivo, la svendita di sé.

Si tratta di un meccanismo dalle conseguenze estreme in cui la donna non è più un soggetto ma un oggetto, non più una persona con una propria personalità ma un prodotto di mercato, una merce di consumo; un oggetto da possedere che incarna simboli.

Principalmente, un certo tipo di televisione è stata lo strumento della propagazione meticolosa di un protagonismo vuoto di significato, della vanità, del nulla in cui talento e pregio, virtù, piacevolezza, senso etico, positività sono stati del tutto anticati.

In breve, le numerose battaglie femminili per ottenere effettivo rispetto, per l’affermazione della propria dignità sono state vanificate e le conquiste ottenute, archiviate, speriamo non definitivamente.

Adesso, battaglie e conquiste ci appaiono archeologia morale, fenomeni di antropologia culturale.

A rigore di logica, quanto detto non può valere in assoluto né per tutte le donne, ovviamente.

È per il rimanente, per quelle che si rifiutano di adattarsi agli schemi che l’attuale società fa balzare agli occhi, che vale la pena di continuare a resistere e a lottare.

Con le armi della diffusione della consapevolezza e della cultura, del rispetto dell’inviolabilità dell’individuo possiamo ancora risollevaci, emergere, reagire, riprenderci il ruolo propulsore che ci spetta.

Com'è mutata l'immagine della donna nell'era in cui viviamo © Antonia Calabrese

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