Luoghi comuni di Mimma Leone

 Luoghi comuni

Andai via da quella piccola sporgenza del basso Salento all’inizio dell’anno.

Salutai con sguardo assente le facciate delle case in periferia, ingentilite dal bagliore stanco delle sei, mentre il treno procedeva a nord del borgo.

Attraverso gli aloni del finestrino, vidi sfrecciare foglie e rami, e poi distese d’addio dietro passaggi a livello incustoditi dai secoli e divisi dai campi di lavoro, ereditati dal tempo. Posai lo sguardo sul cemento delle prime città, sulla solitudine di pendolari annoiati dai ritmi quotidiani, e vidi lacrime mai versate per il loro presente senza slancio, inghiottito dall’urgenza della normalità.
Ero una di loro e scappavo via, ma non lo sapevo ancora. Anch’io avevo lacrime nascoste che avrei raccontato solo molto tempo dopo, e che nel frattempo avrei nutrito di ricordi e silenzi prolungati.
Rivissi il mio passato in un sonno discontinuo, intervallato dal passaggio di luci e viaggiatori, vagoni sovraffollati e voci sconosciute, fruscii di indumenti a basso costo e saluti in lingue diverse, biglietti d’andata e corse in ritardo, in un’aria affettata d’ansia e transizione. Nella tregua delle palpebre chiuse guardai a fatica i colori della terra lasciata alle spalle, che aveva visto nascere sogni a cui non avrebbe assistito, o forse li aveva semplicemente creati con la condizione di non assumersi in seguito alcuna responsabilità. Mi rifugiavo spesso all’ombra della torre merlata, non per fuggire da qualcosa, ma per ascoltare soltanto, gli uccelli e le liriche del vento. Altre volte ascoltavo mio nonno seduto sotto i lampioni della grande piazza. Mi raccontava le storie della sua infanzia, sempre a metà strada tra i due mari, di cascate d’avorio e punti solari che diventavano oro tra le mani dei contadini dei vigneti, di sacerdoti messapici e combinazioni alchemiche. Sapevo che era tutto inventato, ma il racconto leggendario mi parve più d’una volta capace di cambiare il profumo dell’aria, fino a fondersi perfettamente con l’odore del carbone bruciato nei camini d’inverno, e 
d’estate con la delicata fuliggine della frutta lasciata al sole ad essiccare. Un sapore di terra bagnata e d’antico era il risultato della mescolanza di tradizione e voglia di cambiare.

Imparai a memoria i racconti del nonno, e quando fui capace anch’io di cambiare il profumo dell’aria raccontando agli amici di scuola, loro risero di me e di quelle che credevano fantasie. Allora capì che invece tutte quelle storie erano vere sul serio, e non le raccontai più, come si fa con i segreti dentro al cuore, stretti al petto. A volte le ripassavo per non dimenticarmene, ma solo a bassa voce per non farmi sentire, ed ecco le traversate di Iside per arrivare alla nostra terra, e una volta giunta a riva versava il latte delle sue mammelle da una coppa d’oro, per regalarci la fertilità e la bellezza che non ci avrebbero più abbandonato.

Presto capì che solo il mare riusciva a percepirmi da dentro, ma non bastò. E allora seppellì tutto nella sabbia e salì sul treno, quello che partiva di mattina presto. Non ero felice, ma qualcuno, dal pulpito di una cattedra austera e pesante, mi aveva convinto che quanto più lontano arrivassi, tanto più sarebbe stato vicino quel futuro radioso che mi aspettava a braccia aperte, e che mi avrebbe finalmente regalato il riscatto della giovane emigrante in una confezione accogliente di accenti piemontesi e strette di mano esangui.

Da qualche parte avevo letto che ogni odissea parte da un paese caldo e prepara il viandante al freddo, ma non ero pronta a gelide imprese. E neanche questo sapevo, convinta che il freddo sarebbe stato una semplice transitoria condizione stagionale. Riaprì gli occhi sulla nebbia a montagne scoscese, che invece è trasversale ai tempi, fino a diventare muta modalità di accesso a una realtà surgelata, che iberna forza e volontà in un unico blocco di movimenti meccanici. Non cambiò nulla, in meglio. Le certezze diminuirono e la confusione aumentò, distribuendo i suoi punti di domanda ovunque, minacciando mondi avversi di paludi e sabbie mobili. Ci si perdeva nella stessa consistenza nell’aria, imprigionata in una grande bolla di perdita e solitudine. Le poche volte in cui timidamente si affacciava, il sole mi appariva come un bambino che era rimasto in castigo per troppo tempo, fino a perdere dimestichezza con le sue doti naturali e con gli anticorpi codardi che lo avevano lasciato solo, costretto a subire le conseguenze di una brutta malattia della pelle. Stranamente, in quel periodo preferivo le giornate di pioggia, quando tutto sembrava mescolarsi nel tutto senza dare riferimenti. Mi permetteva di fondere il presente in una vecchia pellicola di immagini colorate, a creare scene semplici di vita mia. Mi chiedevo se anche gli altri lo facessero, se fossero capaci di fermarsi ogni tanto a ricordare.

Prendo il tram della sera, alla stessa ora di ogni sera, quando la foschia non è ancora così fitta da sembrare una triste tenda opaca, caduta a caso sopra cose e persone. Mi guardo attorno e riconosco i sedili consunti del vagone dell’ultima classe. Allora mi rendo conto di essere invece salita sul treno del ritorno, e a questo punto mi osservo a dover decidere quanto la svista in questione sia malleabile da poter essere considerata un gesto caparbio, o al contrario un errore irreversibile. Guardo fuori dal finestrino e lo vedo ancora, qualche abitante del popolo dei viandanti, ma io non sono più come loro, e un vago senso di colpa si fa strada mentre questo pensiero si cela impaurito fra i drappi di cotone ingiallito vicine al vetro, e non guardo più fuori. Alla prima fermata sale una donna con un vestito blu, troppo leggero per le temperature correnti. Mi siede di fronte e mentre adagia il suo piccolo sacco di tela nel vano bagagli, mi accorgo che porta con sé un lieve profumo di menta e limoni, condito di iodio, che in qualche modo risveglia memorie ancora fresche. Mi chiedo se il suo vestito leggero abbia mai conosciuto le tende opache della foschia.

Il treno sembra avanzare più veloce di quanto si possa immaginare, oppure mi sarò semplicemente addormentata saltando almeno cinque fermate. Ma è ancora più probabile, credo, che il mio sistema di calcolo del tempo abbia ristretto la sua rete strutturale e proceda ormai per intuizioni pure, saltando il superfluo.

I primi familiari alberi di ciliegio, con i loro rami intrecciati all’infinito, destano il suo sguardo mentre inizia a prepararsi per scendere. Iside si allontana mentre dal piccolo sacco di tela versa del latte a terra, nella mia terra. Forse inizia una nuova era di fertilità e bellezza e poi proseguirà fino al mare, dove la sua nave sarà lì ad aspettarla per nuove traversate, avvolte nella più vera delle leggende.

Scendo alla mia stazione ancora un po’ intontita dal viaggio e resto per non so quanto tempo a guardare il mio paese dal campanile della vecchia chiesa, dove l’altura permette di vedere terra e cielo senza muovere la testa. Poi, dietro le scorrerie saracene, finalmente mi sembra di scorgere anche il mare, e la nave che si allontana lasciando una scia che si rispecchia in un rivolo d’acqua sempre più chiara. Scendo dai gradini ancora per metà pericolanti, e raggiungo la piazza.

Mio nonno, oramai quasi centenario, sotto la luce del lampione sembra invecchiato di altri cent’anni, eppure la sua intuizione mi stordisce un’altra volta quando mi accorgo che riesce ad accontentarsi del sottinteso, prima ancora che io possa scegliere le parole adatte a spiegare. E’ così che succede nei racconti più belli, nulla si spiega e tutto diventa straordinariamente limpido. Come il mare. Mentre mi accompagna verso casa, mezzo nascosto tra i rami di un albero di ciliegio, un gatto segue i miei passi. O forse è un gufo dallo sguardo addolcito. La voce di mio nonno, un dolce profumo nell’aria e il canto di un grillo, mi suggeriscono nella loro armoniosa unione che l’annata sarà bella, fertile, piena di colore.  - Luoghi comuni ©Mimma Leone


MIMMA LEONE

Leccese,da sempre appassionata di scrittura.

Ha conseguito il patentino di Giornalista Pubblicistanel 2012 e attualmente è Direttrice Responsabile di Rivista EA, giornale di Filosofia e Scienze Umane.

Ha conseguito la Laurea inFilosofiacon una tesi di Filosofia della Musica e successivamente il Diploma di Consulenza Filosofica.

Ha scritto brani musicali insieme al cantautore Seba, insiemeal dj producer Crazyminde, più di recente, con il compositore e cantante Gianni Donzelli ( Audio 2).

Ha seguito i corsi di Regia, Sceneggiatura e Comunicazionepresso la Scuola di Cinema diretta da Giuseppe Ferrara, a Brindisi. Successivamente ho partecipato alla lavorazione del film italo-tedesco ‘Solino’.

Ha collaborato come aiuto – regista per spot locali, spettacoli e varietà.

Ha partecipato alla realizzazione della quarta e della quinta edizione del ‘Premio Terre del Negroamaro’ in qualità di coordinatrice artistica.

È stata vicepresidente dell’Associazione socio-culturale RiCreAzione.

Dopo essersi occupata della prefazione a una raccolta di proverbi salentini,nel 2014 ha pubblicato la raccolta di racconti brevi ‘Il Mare per le Conchiglie’(Premio Ecce Dominae 2015, Roma – Premio speciale per la Narrativa Femminile 2015, Taranto - Premio Microeditoria di Qualità 2016, varie menzioni speciali e riconoscimenti ai singoli racconti - p.es. il racconto ‘Approdi’, premiato a Modica -)

Un altro suo lavoro, il racconto ‘L’angelo imperfetto’, è incluso nell’antologia di scrittori salentini ‘Salento Quante Storie 2015’. ( 3° posto Concorso Salento Quante Storie 2015 )

Nel 2017 ha ricevuto il Premio Personaggio dell’Anno (sezione Letteratura) a La Spezia e nello stesso anno, anche un Attestato per Meriti Artistici al Palafiori di Sanremo, nella settimana dedicata al Festival della canzone italiana.

Le Congiunzioni della Distanza’, pubblicato a novembre del 2018, è il suo primo romanzo (2° posto Concorso Equilibri 2019– Menzione d’onore Concorso Argentario 2019 – Menzione d’Onore Città di Grosseto Amori sui generis 2018).

Una biografia sul filosofo Baruch Spinoza è in attesa di pubblicazione e un altro romanzo (genere thriller) è in corso di stesura.


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