La casa in riva al mare di Dave Given

di Dave Given 

ispirato dall'omonima canzone di Lucio Dalla

 


«Oggi sono certo che ci siamo guardati. Giova’ capisci? Ci siamo guardati.»

Giovanni ormai non capisce più quello che dico, ma non mi sembra un motivo sufficiente per non parlargli più. Poverino, è diventato così vecchio. Ho visto la pelle corrugarsi e aggrapparsi al suo volto giorno dopo giorno in questi vent'anni. I capelli gli sono diventati tutti grigi, insieme ai suoi sentimenti. Eppure non era così, ma ci sta da comprenderlo, lui non ha più la sua Maria. Per me è diverso… perché ho ancora una casa e una promessa da mantenere. Siamo uomini e valiamo tanto quanto i nostri sogni.

Lui ha smesso di sognare invece. Lo ha fatto precisamente il 22 dicembre del 1994. Me lo ricordo ancora. L’ho visto morire dentro quel giorno e certe cose non le dimentichi.

Quel farabutto di un avvocato gli rubò le parole, lasciandogli solo monosillabi. Non avevo mai visto nessuno cambiare in modo così repentino. Lui che amava parlare sempre, di politica, di giustizia sociale, ma anche di musica, di arte, di pallone. I suoi racconti delle azioni di Maradona erano delle poesie. Ci mettevamo tutti i pomeriggi intorno a lui ad ascoltarlo. Era capace di farci vedere attraverso le parole. Io grazie a lui riuscivo ad innamorarmi di ogni piccola cosa. Mi ha insegnato tanto. Poi una notte, una sola e stupida notte, ha cambiato tutto per sempre. Ora tra i due sono io il chiacchierone, anche se monotematico.

Be’ a pensarci bene anche la mia vita è cambiata così. In pochi minuti. Un litigio con la persona sbagliata… quanto è facile perdere il controllo a volte. Ma lo rifarei mille volte. Mio fratello aveva bisogno di me per difendersi e poi non avrei incontrato Maria.

«Stava stendendo le lenzuola. Addosso aveva il vestito che preferisco, quello a fiori con lo sfondo nero. Aveva i capelli sciolti, quei bei suoi ricci erano accarezzati dal vento. Danzavano come le onde del mare.»

In realtà il vestito nero lo preferisco anche perché mostra le sue gambe, ma questo lo tengo per me. Come mi piace quello smalto rosso, quanto ci starebbe bene l’anello che ho in mente di comprarle. Non vedo l’ora di tenerle la mano.Voglio sentire il suo odore, la tenerezza di quelle dita piccine che mi corrono tra i capelli. Tra poco sarò da te amore mio. Adesso non sono ancora pronto, non saprei che dire e Giovanni non mi è d’aiuto.

«Devo preparare un bel discorso… o forse, be’ forse… sarebbe meglio una lettera. Le parole su carta si possono conservare, potrà rileggerle ogni volta che vuole. Che dici?»

«Sì.»

«Sì, vedi che quando vuoi sai aiutarmi. Una lettera è quello che ci vuole.»

Ma che le scrivo? Potrei raccontarle di come passo tutte le giornate ad aspettare che lei si affacci a quella finestra. Che immagino di andarla a prendere con il mio vestito buono, quello avio con la cravatta scura, con in mano i fiori più belli, di campo, raccolti a uno a uno solo per lei. Le potrei scrivere che ho già scelto il nome per il nostro cane, Little Joe.

O ancora di quanto il mio amore possa essere solido, fedele e incondizionato. Maria sarebbe il mio tutto, lo è già in effetti… in questi anni che stanno passando tutti insieme è l’unica cosa che mi dà motivo di andare avanti. Lei è i miei sorrisi ormai. Il primo pensiero e l’ultimo di queste giornate che cambiano solo perché lei ha cambiato vestito o tirato su i capelli. Che bello sarà poter essere libero chiuso tra le sue braccia.

«Ah l’amore Giovanni! Come riesce a rendere tutto migliore.»

«Sì.»

È quasi ora di pranzo. Metto a preparare qualcosa, qui in cella abbiamo il nostro cucinino. Gli ingredienti non sono un granché, ma la pastina e il formaggino vanno più che bene. Conserverò nel palato la voglia dei sapori più buoni al mondo per quando cucinerò per lei. Andrò a pescare io stesso. Le preparerò i vermicelli con i ricci come mio fratello faceva con me. Riesco già a sentire l’odore di mare.

«Giova’ ti faccio un po’ di pastina?»

«No.»

Questa risposta la conoscevo già, scrolla le spalle e si mette disteso con il gomito sotto la testa e il viso verso il muro. Sono giorni che mi devo impegnare per farlo mangiare, a lui dà fastidio che lo debba imboccare, non capisce che sono suo amico e che per me questo non è un peso. Mi piace rendermi utile per lui. Mentre metto l’acqua nel pentolino ripenso a Maria. Chissà di che colore ha gli occhi, da qui sembrano blu o forse verdi. Poco importa, potrebbero essere anche grigi come questa stanza, sarebbe il grigio più vivo che io abbia mai visto.

«“È il tempo che hai perduto per la tua rosa che ha reso la tua rosa così importante.” Ti ricordi quando mi leggevi il piccolo Principe? Quante cose che mi hai insegnato.»

Se ti avessi conosciuto prima Gio’, quante cose stupide avrei evitato. Saresti stato l’opportunità che non ho mai avuto. La mia vita era chiusa ancor prima di venire qui dentro. Nessuno mi ha spiegato mai nulla: cosa era giusto e cosa sbagliato, cosa era saggio e cosa era estremamente stupido. Quanto rimpiango il tempo perso, il non essere andato a scuola. Che ne sapevo che in un libro si potevano vivere milioni di vite diverse e straordinarie.

Mentre l’acqua inizia a bollire, piccole lacrime si condensano sulle mie guance. Guardo di nuovo fuori, ma lei non c’è. Forse sta cucinando anche lei. Forse siamo veramente così uniti da fare le stesse cose nello stesso momento. Forse anche lei sta aspettando che io esca di qui. Forse.

«Giova’ tra sette minuti è pronto.»

Non mi risponde. Fa finta di dormire.

«Andremo via da qui amico mio. In un modo o in un altro. Circondati dal blu, in posti dove ci sembrerà che cielo e mare riescono a toccarsi. Dove la speranza e la follia sono ricchezza. Saremo liberi. Ma liberi per davvero, di essere e amare. Liberi di correre, di nuotare, di saltare, di volare. Sì anche di volare Giova’, con le nostre bellissime ali, piene di piume bianche. Lucide. Profumate. Andremo dove gli errori non esistono. In un posto dove le persone sanno perdonare. In un posto dove io e Maria potremmo camminare mano nella mano. Lei dormirà poggiata sul mio fianco.»

Mi fermo, credo che Giovanni si sia addormentato per davvero. Spengo il fuoco sotto la pentola, l’appetito non c’era prima e men che meno adesso. Sono triste, perché purtroppo Giovanni non riesce più a capire quello che dico. 

(La casa in riva al mare©Dave Given) 

Notizie sull'autore

Dave Given nasce a Glasgow nel 1984 da padre scozzese e madre italiana. Cresce nella periferia napoletana, lì dove i tram non vanno avanti più, ma diviene ben presto cittadino del mondo. L’ultimo posto in cui è stato avvistato è Getafe, ma cerca sempre di far perdere le proprie tracce.

Matematico e cultore del calcolo delle probabilità, attraverso il quale prova a diventare un professionista del poker o quanto meno ad azzeccare qualche scelta della propria vita.

Il rapporto con la scrittura per Dave è stato alquanto incostante. Inizia a scrivere le prime poesie da piccolo, per poi abbandonare i versi per più di quindici anni. Nel 2018 trova un manoscritto misterioso e inizia a scrivere la sua prima storia, la quale attualmente è ancora chiusa in un cassetto. Da quel momento ritrova la passione per la scrittura e in particolare la poesia. Partecipa con “Vertigine” al concorso letterario “Villa Bruno”, ottenendo un discreto risultato. Da quel momento scrivere diviene un’esigenza e dedica gran parte delle sue notti a farlo. “La vita oltre il plexiglas” è il suo romanzo di esordio, scritto in pieno lock-down, in una fase delicatissima per la vita di tutti. Oltre all'equazioni e alla misura di eventi aleatori, ama i cantautori italiani, Troisi, il cinema di tutti i generi e la parmigiana di melanzane: queste sono le cose che pensa di portare con se ovunque andrà in questo mondo o in un altro.


 


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